QUADRO TEMPERA SU TAVOLA MEZZOBUSTO CRISTO - FALSO GIOTTO - CAPPELLA SCROVEGNI

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QUADRO TEMPERA SU TAVOLA MEZZOBUSTO CRISTO - FALSO GIOTTO - CAPPELLA SCROVEGNI

SPLENDIDO SOGGETTO RELIGIOSO : MEZZOBUSTO DI CRISTO --- TEMPERA SU TAVOLA

UN CAPOLAVORO DI COPIA D' ARTE TARDIVA --- GIOTTO, CRISTO RISORTO

PROVENIENTE DA COLLEZIONE PRIVATA

DIMENSIONI : ( 34,5 x 48 x 2,7 cm.)

!!! PERIZIA (EXPERTISE) UFFICIALE DISPONIBILE !!!

!!! DOCUMENTO DI DATAZIONE RADIOMETRICA AL CARBONIO 14 DISPONIBILE !!!

VISIONE DELL' OPERA D'ARTE SU APPUNTAMENTO

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Il dipinto in oggetto è una tempera su tavola, senza cornice.

L’opera, di piccole dimensioni, raffigura un mezzobusto di Cristo, derivato direttamente, seppur con modifiche cromatiche, dal Cristo Risorto che campeggia in uno dei riquadri del celebre ciclo di affreschi dipinto da Giotto nella Cappella degli Scrovegni di Padova.

Ad un primo sommario esame si poteva rilevare soltanto una generica vetustà materica del supporto ligneo e un diffuso effetto craquelé della pellicola pittorica.
Un rigoroso approfondimento diagnostico per accertare l’autenticità dell’opera e formulare una datazione credibile della stessa ha condotto alle seguenti conclusioni: si tratta di un falso d’autore o meglio di una copia d’arte tardiva, collocabile dall’esame di datazione radiometrica del carbonio 14 su un campione ligneo in un arco temporale compreso fra il 1669 e il 1944.

Il supporto ligneo è invece riferibile al genere Pomoidea, che comprende biancospino, pero e melo, legni non distinguibili a livello anatomico.
A tale proposito si sottolinea come l’impiego di legno da frutta è scarsamente documentato per la realizzazione di supporti di dipinti.

Per quanto riguarda la tecnica esecutiva, si rileva che le screpolature sono state ottenute con l’uso combinato di due diverse vernici ad essiccazione differente, come si evince dal fatto che i cretti assumono un andamento uguale e geometrico.

L’aureola è stata sporcata con del bitume come del resto tutto il dipinto. In sostituzione dell’oro zecchino è stato forse utilizzato dell’erone (ottone in foglia).

Il decoro a criptoscrittura ad imitazione di caratteri alfabetici cufici arabi (tratto dalla “Madonna di Ognissanti” di Giotto conservata al Museo degli Uffizi di Firenze) non è eseguito a graffio come era prassi nella pittura gotica trecentesca.

Nel complesso la tavola sembra essere stata dipinta da un ottimo pittore.

In questa sede e dopo la visione catalogo della mostra “falsi d’autore a Siena” ospitata al Museo di S. Maria della Scala di Siena nel 2004, ci sentiamo di escludere qualsiasi riferimento alla celebre scuola senese di falsari d’arte che operò a cavallo fra XIX e XX secolo, i cui massimi esponenti, Icilio Federico Joni, Alceo Dossena, Bruno Marzi e Umberto Giunti erano dediti all’imitazione delle opere dei grandi maestri del Gotico senese (Ambrogio Lorenzetti, Duccio da Boninsegna), caratterizzati dal largo uso del cosiddetto “fondo oro”.

La testimonianza orale della tradizione famigliare fa riferimento ad una proprietà del dipinto precedente al secondo conflitto mondiale e geograficamente circoscritta all’entroterra romagnolo.

Si fa presente come il fenomeno delle copie – falsi d’arte dei “primitivi”, cioè tutta la pittura compresa fra il XIII e il XIV secolo, sia inquadrabile nel milieu culturale del revival neomedievale e neogotico ottocentesco, interpretato in campo architettonico e critico da Camillo Boito.
Ma nel nostro caso siamo di fronte all’unicum del soggetto, del supporto e della raffinata tecnica esecutiva filologica, mutuata dal “Libro d’arte” trecentesco di maestro Cennino Cennini.

Lungi dall’essere una dozzinale copia, nel quadro riscontriamo una calligrafia singolare, una padronanza della pennellata e una immedesimazione totale con celebre artista toscano.

Un’eminente personalità della storia dell’arte come il critico Federico Zeri rilevava nei suoi “Appunti di lavoro” del 1971 l’estrema rarità dei finti Giotto.

L’impossibilità di confronti con opere consimili sul mercato dell’arte e l’unicità dell’opera ci inducono, ai fini di proporre un valore per la stessa, a riferirci, per analogia, alle quotazioni dei sopraccitati “falsari senesi”, che in diverse aste italiane e internazionali hanno raggiunto quotazioni variabili fra i 20.000 e i 30.000 €.

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(Enrico Descloux - WebSkipper Verona)